Introduzione

A partire dal 2010 l’Istat ha avviato il progetto Bes per la misurazione del Benessere Equo e Sostenibile e ogni anno pubblica il Rapporto Bes, in cui si analizza l’evoluzione recente, l’andamento di più lungo periodo e le disuguaglianze per il set di 152 indicatori, distinti in 12 domini. Per una parte degli indicatori Bes è possibile il confronto con la media Ue27, utile per individuare la posizione dell’Italia nel contesto europeo evidenziando così ulteriori criticità o punti di forza.
Sin dal suo avvio il Bes rende disponibili gli indicatori declinati per una serie di caratteristiche individuali e di contesto che consentono di misurare le disuguaglianze per soggetti sociali e territorio e monitorarle nel tempo.
Anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), riconoscendo nelle forti disparità territoriali, di genere e generazione un ostacolo alla coesione e alla crescita, ha inserito negli obiettivi trasversali alle sei missioni la riduzione di questi divari.
Le analisi qui presentate consentono di far luce anche sulle disuguaglianze sociali intersezionali, ovvero quelle disparità che colpiscono sottogruppi specifici della popolazione, incidendo profondamente sulla qualità della vita delle persone coinvolte, ma che diventano evidenti solo quando si considerano le intersezioni tra più vulnerabilità come ad esempio genere, età, istruzione e territorio.
A livello territoriale persistono forti disuguaglianze. Le regioni del Nord emergono con valori di benessere superiori alla media nazionale, mentre il Mezzogiorno presenta ancora situazioni di marcato svantaggio, soprattutto nei domini lavoro e conciliazione dei tempi di vita e relazioni sociali.
La maggior parte degli indicatori mostrano, inoltre, uno svantaggio femminile. Le donne restano fortemente penalizzate nel mercato del lavoro, sia sugli indicatori quantitativi che su quelli qualitativi. Il tasso di occupazione è marcatamente più basso, mentre sono più elevati sia il tasso di mancata partecipazione al lavoro, sia l’incidenza del part-time involontario. Per le peculiarità della struttura occupazionale maschile, gli uomini presentano invece un tasso maggiore di infortuni sul lavoro mortali e di inabilità permanente.
Considerare gli indicatori per titolo di studio è fondamentale alla luce del legame profondo tra istruzione e qualità della vita. Avere un alto livello di istruzione significa godere di più elevati livelli di benessere e di una maggiore protezione dalle vulnerabilità date dalla combinazione di più fattori discriminanti. L’investimento in capitale umano è uno dei principali fattori di protezione dalle difficoltà economiche. Il rischio di povertà dei laureati è più che dimezzato rispetto al totale della popolazione. Il disagio economico è poi molto differenziato sul territorio perché il rischio di povertà è minimo tra i laureati residenti al Nord e massimo tra i residenti al Mezzogiorno con bassa istruzione.

Le disuguaglianze regionali

Analizzare le differenze di benessere tra territori in un paese dalla complessa e variegata geografia come l’Italia è rilevante per comprendere le criticità o le potenzialità di sviluppo e per orientare le politiche pubbliche. L'Ue si pone fra i principali obiettivi quello di ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle sue regioni, così da promuoverne uno sviluppo armonioso e rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale. Tale obiettivo è perseguito attraverso la politica di coesione, che è la principale politica di investimento dell'Ue con la finalità di modifica strutturale dei contesti economici dei territori. Il riferimento territoriale specifico sono quindi le regioni e i relativi confini.
In questa analisi si propone una lettura delle disuguaglianze regionali attraverso i 112 indicatori Bes (che coprono tutti i domini), per la maggior parte aggiornati al 2023, per i quali è presente questo dettaglio territoriale.
Nella Figura 1 sono riportate, per ogni regione, le differenze in unità standardizzate (u.d.s.) dei 112 indicatori, dove la retta verticale, posta uguale a zero, rappresenta il valore di riferimento Italia per l’ultimo anno disponibile.

Figura 1. Differenze degli indicatori Bes rispetto alla media Italia, per regione e dominio. Ultimo anno disponibile (unità standardizzate) (a)

Fonte: Istat, Indicatori Bes

(a) Per una maggiore fruibilità della Figura collegarsi alla dashboard.

Le disparità territoriali nei livelli di benessere delle regioni rispecchiano la mancata convergenza nei livelli di sviluppo e vedono in una posizione di generale vantaggio le regioni del Nord, che si addensano sopra il valore medio nazionale (a destra nella figura), mentre quelle del Mezzogiorno si trovano al di sotto (a sinistra nella figura).
Per tutte le regioni del Nord e per la Toscana almeno il 60% degli indicatori presenta valori superiori alla media Italia, con punte di circa il 75% per il Veneto e le province autonome di Bolzano e Trento.
Per tutte le altre regioni del Centro almeno la metà degli indicatori ha valori superiori al dato nazionale. Per le regioni del Mezzogiorno, invece, la percentuale di indicatori con valori migliori del dato nazionale è sempre inferiore al 50%, benché vi siano importati distinzioni, con la quota che è superiore al 40% in Abruzzo, Molise e Sardegna mentre in Campania, Puglia e Sicilia arriva al massimo al 25%.
Lo svantaggio del Mezzogiorno è più marcato nei domini salute, istruzione e formazione, paesaggio e patrimonio culturale e, in particolar modo, nei domini lavoro e conciliazione dei tempi di vita e relazioni sociali. Per quanto riguarda il lavoro, ad esempio, in Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia tutti o quasi tutti gli indicatori registrano valori inferiori alla media nazionale, mentre in Piemonte e Lombardia sono tutti sopra la media; per le relazioni sociali in Campania, Puglia e Sicilia si riscontrano sempre valori più bassi del dato medio, mentre nelle due province autonome di Bolzano e Trento, in Veneto e Emilia-Romagna i valori sono tutti più alti del valore Italia.
Nei domini politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, ambiente, innovazione, ricerca e creatività invece il quadro è geograficamente meno polarizzato. In particolare per il dominio sicurezza la maggior parte degli indicatori delle regioni del Mezzogiorno (a esclusione di Campania e Puglia) ha valori migliori rispetto alla media nazionale, invece Emilia-Romagna, ma soprattutto Lombardia e Lazio, presentano dati molto più negativi. Per quanto riguarda il benessere soggettivo, non emerge uno schema territoriale definito, con la Lombardia e la Calabria che hanno tutti gli indicatori su livelli migliori rispetto alla media nazionale, mentre Umbria, Marche, Puglia e Sicilia non ne hanno nessuno. In relazione al dominio innovazione ricerca e creatività, per tutte le regioni del Mezzogiorno la maggior parte degli indicatori registra valori inferiori alla media nazionale, ma in questo caso lo stesso accade anche per Piemonte, Liguria, Umbria e Marche, mentre per Lombardia e Lazio cinque indicatori su sei sono sopra la media.
Analizzando i valori che maggiormente si discostano dalla media, si possono evidenziare i punti di forza e di debolezza tra le varie regioni. Nel complesso i valori più alti si concentrano per la maggior parte proprio nelle due province autonome di Trento e Bolzano. Al contrario, i valori più bassi sono più dispersi tra le regioni, benché si concentrino in particolar modo nel Mezzogiorno.
In particolare, emergono positivamente, per la provincia autonoma di Bolzano, la diffusione delle aziende agrituristiche, quattro indicatori di soddisfazione (tra cui la soddisfazione per i servizi di trasporto pubblico e la soddisfazione per la propria vita), tre aspetti legati alla salute (abitudine al fumo, multicronicità e limitazioni gravi), il basso numero di occupati sovraistruiti e l’alta partecipazione sociale. Ad esempio, la diffusione delle aziende agrituristiche per Bolzano era pari nel 2022 a 46,1 per 100 km2, un valore cinque volte superiore al dato nazionale, e oltre 20 punti più alto della Toscana, che segue nella graduatoria (24,5 per 100 km2 ). Anche per quanto riguarda la soddisfazione per la propria vita, Bolzano si distingue rispetto al resto d’Italia, con quasi due persone su tre che valutano tra 8 e 10 la loro soddisfazione per la vita nel complesso, in confronto a una media Italia pari al 46,6%.

Figura 2. Indicatori di benessere, per dominio e regione. Ultimo anno disponibile

A sua volta la provincia autonoma di Trento spicca, in particolare per la disponibilità di verde urbano, le attività di volontariato, la fiducia generalizzata e la fruizione delle biblioteche; ad esempio, quasi un terzo degli abitanti della P.A. di Trento, nel 2023, si è recato in biblioteca almeno una volta, mentre nelle altre regioni questa percentuale spesso non raggiunge neanche il 15%, e in Molise e Campania è intorno al 5%.
Valle d’Aosta, Molise, Sardegna emergono ognuna per un particolare aspetto ambientale, rispettivamente la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, la disponibilità di verde urbano e la qualità dell’aria; ad esempio, in Sardegna la percentuale di misurazioni del particolato sottile (PM2,5) con valori oltre la soglia di riferimento per la salute è, nel 2022, appena del 12,5%, mentre in altre regioni (le due province autonome e il Veneto) è pari al 100%.
Il Lazio si distingue positivamente per la densità e rilevanza del patrimonio museale e per la percentuale di occupati con istruzione universitaria in professioni scientifico-tecnologiche. La Lombardia emerge per i posti-km offerti dal trasporto pubblico nei comuni capoluogo di provincia (11.244 nel 2022, rispetto al dato italiano di 4.696).
Tra le situazioni più critiche, si possono citare quattro indicatori per la Calabria: irregolarità nella distribuzione dell'acqua, disuguaglianza del reddito netto, utenti regolari di internet e soprattutto la grave deprivazione materiale e sociale. La percentuale di persone che in Calabria registrano almeno 7 su 13 segnali di deprivazione materiale e sociale è pari, nel 2023, al 20,7%, più del doppio di ogni altra regione italiana (esclusa la Campania). Il Molise registra una notevole pressione ambientale a causa dell’alto afflusso di rifiuti urbani nelle sue discariche (anche da fuori regione), con un valore (77,1% sul totale dei rifiuti prodotti in regione) che supera di quattro volte la media Italia. In Molise, e in Basilicata, è elevato anche il valore dell’emigrazione ospedaliera in altra regione: rispettivamente il 30,4% e il 28,4% dei residenti si recano in un’altra regione per ricoverarsi, contro una media Italia dell’8,3%; se però in Molise si osservano anche consistenti flussi in entrata, che indicano una mobilità geografica determinata soprattutto dalle piccole dimensioni del territorio, lo stesso non può dirsi per la Basilicata. La Basilicata si distingue anche per una maggiore percezione di insicurezza del lavoro: la percentuale di occupati che ritengono probabile perdere il lavoro e non ritrovarlo è dell’8,8%, più del doppio del dato nazionale. Due aspetti, in Campania, sono particolarmente problematici: nel 2022 quasi un quarto dei residenti ha dichiarato di arrivare a fine mese con grande difficoltà (rispetto ad una media nazionale del 6,9%) e l’8,8% di famiglie ha dichiarato molta difficoltà a raggiungere 3 o più servizi essenziali (contro il 4,9% a livello Italia).
Vale la pena evidenziare altri cinque indicatori con valori peggiori in termini di benessere rispetto alla media: l’impatto degli incendi boschivi in Sicilia (con il 9,8 per mille del territorio regionale colpito nel 2022, rispetto a una media nazionale del 2,4 per mille), la rinuncia alle prestazioni sanitarie in Sardegna (che ha interessato nel 2023 il 13,7% della popolazione rispetto al 7,6% della media Italia), la grave deprivazione abitativa in Piemonte (la percentuale di persone che vivono in abitazioni sovraffollate o in alloggi privi di alcuni servizi e con problemi strutturali era pari al 10,8% nel 2022, un tasso più che doppio rispetto all’Italia), i borseggi nel Lazio (che, nel 2023, hanno registrato 13,6 vittime ogni 1.000 persone, rispetto a una media nazionale di 5,1) e il tasso di infortuni sul lavoro in Umbria (16,7 ogni 10.000 occupati nel 2022, contro il 10 a livello Italia).

Le disuguaglianze per genere

La parità di genere è un diritto umano fondamentale e il suo raggiungimento è un obiettivo da conseguire sia per il benessere individuale che per il suo impatto sul benessere economico e sociale. Opportunità uguali per uomini e donne promuovono la crescita economica, rafforzano la democrazia e migliorano la coesione sociale, con benefici per l’intera collettività. Questo principio è al centro del Goal 5 degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite, che mira a raggiungere l'uguaglianza di genere e l'empowerment di tutte le donne e le ragazze. Tuttavia, nonostante i progressi ottenuti negli ultimi anni, le disuguaglianze di genere rimangono nel nostro Paese evidenti in molte sfere della vita. I dati del framework Bes permettono di identificare con precisione gli ambiti in cui le differenze tra uomini e donne risultano più marcate. Per la gran parte degli indicatori di benessere (79) si dispone, infatti, di dati disaggregati per sesso e aggiornati al 2023 (o al 2022). Per studiare le differenze di genere sulle varie dimensioni ed evidenziare le aree di maggiore criticità, si è scelto di confrontare i rapporti tra il valore che ciascun indicatore assume nella popolazione femminile o maschile con il valore che assume nella popolazione totale (Italia). È così possibile individuare le misure per le quali si osserva una sostanziale parità tra i due sessi (sono 23) trovandosi vicine al valore medio (valore 1 nella figura 3), e distinguere quelle in cui la condizione delle donne è significativamente migliore di quella degli uomini (24 indicatori con valori superiori a 1 per le donne), da quelle per le quali, al contrario, sono gli uomini a sperimentare condizioni di vita migliori (32 indicatori con valori superiori a 1 per gli uomini). Ai due estremi della figura, dove è maggiore la distanza tra questi due rapporti, maggiore è il divario di genere.

Figura 3. Indicatori di benessere per sesso. Anno 2023 (rapporto tra femmine e totale e tra maschi e totale) (a) (b)

Fonte: Istat, Indicatori Bes

(a) Rapporto aggiustato in modo da renderlo simmetrico rispetto al valore 1 e compreso tra 0 e 2.

(b) L'indice tiene conto della polarità degli indicatori e quindi valori maggiori di 1 indicano un vantaggio in termini di benessere.

Le prime due considerazioni da fare riguardano, da un lato, la persistente maggiore numerosità degli indicatori che mostrano uno svantaggio femminile, dall’altro il divario leggermente maggiore in presenza di uno svantaggio maschile. Focalizzando l’attenzione sugli indicatori che evidenziano una condizione femminile migliore di quella maschile, la gran parte di essi rientra nei domini salute e istruzione e formazione.
Con riferimento al dominio istruzione e formazione, sono soprattutto gli indicatori centrati sulla componente giovanile a far emergere un vantaggio femminile, sia perché è meno diffuso tra le ragazze il fenomeno dell’abbandono scolastico (7,6% contro il 13,1% dei maschi), sia perché è più contenuta la percentuale di low performer, ovvero le studentesse dell’ultimo anno della scuola secondaria di primo grado che non hanno raggiunto un livello di competenza alfabetica almeno sufficiente (33,9%; 42,9% per i ragazzi). Inoltre, è più elevata sia la proporzione di giovani iscritte all’Università per la prima volta nello stesso anno in cui hanno conseguito il diploma (il tasso specifico di coorte delle ragazze è 58,2%, 45,2% quello dei ragazzi), sia la percentuale di giovani donne 25-34enni con laurea o altri titoli terziari (37,1%; 24,4%). L’investimento femminile in formazione dei decenni passati fa sì che anche tra gli adulti si osservi un vantaggio femminile: tra i 25-64enni è infatti più elevata la quota di quante hanno conseguito almeno il diploma (68%; 62,9% per gli uomini). Inoltre, le donne fruiscono delle biblioteche più degli uomini (14% contro 10,7%) e il maggiore investimento in istruzione si traduce anche in una maggiore presenza femminile tra i lavoratori della conoscenza (24%; 14,9%) e nelle occupazioni culturali e creative (3,7%; 3,3%). Va tuttavia segnalata, sempre con riferimento al dominio istruzione e formazione , una maggiore presenza tra le donne di giovani né occupate né inserite in un percorso di istruzione o formazione (NEET, 17,8%; 14,4%).

Figura 4. Indicatori di benessere, per sesso. Ultimo anno disponibile

Per quanto riguarda il dominio salute, le donne presentano mediamente stili di vita più salutari. È infatti più bassa la percentuale di donne in eccesso di peso (36,1% contro il 53,5% degli uomini), che fumano (16,4%; 23,6%), che hanno comportamenti a rischio nel consumo di alcool (9,8%; 21,8%), ed è più elevata la quota di quante hanno un’alimentazione adeguata, assumendo giornalmente almeno 4 porzioni di frutta e/o verdura (18,5%; 14,4%).

Tra le donne si registrano anche più bassi tassi di mortalità tra i giovani per incidentalità stradale (il tasso standardizzato per le ragazze di 15-34 anni è 0,2 per 10 mila abitanti contro l’1,1 dei coetanei). Va tuttavia sottolineato che altre misure del dominio salute vedono i maschi in posizione migliore. La quota di uomini sedentari, che non praticano cioè alcuna attività fisica è infatti più contenuta (il tasso standardizzato per 100 persone è pari al 31,2%, rispetto al 37,1% tra le donne). È più bassa la quota di uomini che rinunciano a prestazioni sanitarie di cui hanno bisogno (il 6,2% contro il 9,0% delle donne). Infine gli anziani sono meno frequentemente delle loro coetanee affetti da multicronicità e/o gravi limitazioni nello svolgimento delle attività quotidiane (40,9%; 54,7%).
Il vantaggio maschile nel benessere riguarda principalmente i domini politica e istituzioni e lavoro e conciliazione dei tempi di vita. Tutti gli indicatori relativi alla presenza femminile nelle posizioni di rappresentanza politica e ai vertici delle istituzioni segnalano un persistente divario di genere, che appare particolarmente elevato se si considerano le posizioni apicali degli organi decisionali (solo il 21,3% di donne ricoprono queste posizioni) e gli organi politici locali (solo il 24,1% di donne). Anche nel Parlamento italiano la presenza femminile si ferma al 33,7%, mentre, grazie alla spinta degli interventi normativi in materia, sale al 43,1% nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa.
Nonostante le migliori performance nel dominio istruzione e formazione, le donne restano fortemente penalizzate sul mercato del lavoro, sia sugli indicatori quantitativi che su quelli qualitativi. Nel dominio lavoro e conciliazione dei tempi di vita, infatti, sono 6 gli indicatori per i quali la distanza a vantaggio degli uomini è particolarmente marcata. Innanzitutto il tasso di occupazione femminile è significativamente più basso (56,5%; 76%), mentre sono più elevati sia il tasso di mancata partecipazione al lavoro (18%; 12,3%), sia l’incidenza del part-time involontario (15,6%; 5,1%). Anche gli indicatori relativi alla qualità del lavoro segnano una migliore condizione maschile: tra gli uomini sono meno numerosi i lavoratori che percepiscono insicurezza lavorativa (3,7%; 4,7% delle donne) ed è più basso il tasso di occupati sovraistruiti (25,4%; 29,4% delle donne). Tuttavia, per le peculiarità della struttura occupazionale maschile, gli uomini presentano un tasso maggiore di infortuni sul lavoro mortali e di inabilità permanente (13,6%; 5,3%).

Le difficoltà di inserimento sul mercato del lavoro espongono le donne anche ad un maggiore rischio di vivere in famiglie povere, che tocca il 20% delle donne contro il 17,8% degli uomini, o di vivere in condizione di grave deprivazione materiale (5%; 4,5%).
Infine tra gli altri indicatori che presentano una distanza maggiore tra uomini e donne se ne segnalano alcuni del dominio sicurezza: gli uomini sono più frequentemente vittime di rapine (2,3 contro lo 0,6 per 1000 abitanti) e omicidi (0,7 contro lo 0,4 per 100mila abitanti). Al contrario le donne più spesso percepiscono insicurezza quando camminano al buio: se quasi tre quarti degli uomini si sentono sicuri a camminare da soli quando è buio nella zona in cui vivono (72,4%), le donne sono solo poco più della metà (52,1%).

Le disuguaglianze per titolo di studio e le disuguaglianze intersezionali

Il livello di istruzione posseduto ha un forte impatto sul benessere degli individui in tutte le sue molteplici dimensioni dagli stili di vita alle relazioni sociali e alla partecipazione politica, dalle condizioni economiche ai consumi, dallo stato di salute alla fruizione culturale, dalla partecipazione al mercato del lavoro alla conciliazione dei tempi di vita, ecc.
A partire dagli anni ’60 è stata via via più ampia la partecipazione al sistema scolastico con una crescente quota di generazioni che hanno ottenuto un diploma di scuola secondaria superiore. Più difficoltoso il passaggio all’università e, soprattutto, il conseguimento di un titolo di studio terziario, ancora fortemente condizionati da fattori individuali, dalla performance nel percorso scolastico precedente (titolo di provenienza, votazione), dal contesto di vita e dalle caratteristiche della famiglia di origine. Rispetto al contesto europeo, tuttavia, l’Italia presenta un ritardo sull’istruzione soprattutto per la quota di laureati. Complessivamente, nel 2023 la popolazione di 25-64 anni, ha un titolo di studio terziario nel 21,6% dei casi (al di sopra solo della Romania e ben lontana dal 35,1% della media Ue27), un diploma di scuola secondaria superiore nel 44% (al pari della Ue27) e ha conseguito al massimo un titolo di scuola secondaria inferiore nel rimanente 34% (contro il 20% della Ue27). Anche per quanto riguarda le giovani generazioni, in Italia è bassa la quota di 25-34enni con un titolo terziario (30,6% contro 43,1% nella Ue27 e superiore solo a Ungheria e Romania); le differenze tra uomini e donne sono consistenti, con una giovane donna ogni 3 che possiede un titolo di studio terziario, rispetto a un giovane uomo ogni 4.

Figura 5. Laureati e altri titoli terziari (25-34 anni) nei paesi Ue27 per sesso. Anno 2023 (valori percentuali)

L’analisi è qui condotta prendendo in esame un sottoinsieme di 29 indicatori di benessere per gli individui di 25 anni e più disaggregati per il titolo di studio più alto conseguito suddiviso in tre grandi classi, definendo “Basso” il titolo fino al diploma di scuola secondaria inferiore (o licenza media, ISCED 0,1,2 ), “Medio” il possesso di un diploma di scuola secondaria superiore (ISCED 3,4) e “Alto” qualunque titolo terziario (ISCED 5,6,7,8).

Per misurare le disuguaglianze nell’istruzione, analogamente a quanto fatto per il genere, si adotta il rapporto tra il valore che ciascun indicatore assume nei tre livelli di istruzione (basso, medio, alto) con il valore che assume nel totale della popolazione di 25 anni e più. Ne risulta che gli indicatori che si collocano nella parte superiore del grafico denotano un vantaggio in termini di benessere rispetto al dato medio del Paese, all’opposto, quelli nella parte inferiore, uno svantaggio.
L’analisi delle disuguaglianze per titolo di studio è stata arricchita dallo studio dell’intersezione con le ulteriori dimensioni del territorio (Nord, Centro, Mezzogiorno) e del genere, o dell’età (25-34, 35-54, 55 e più) allo scopo di mettere in luce come queste dimensioni della disuguaglianza si combinano tra loro.
La maggior parte degli indicatori presenta un forte gradiente per titolo di studio che sottolinea la crescente associazione positiva con le misure di benessere al crescere del livello di istruzione (Figura 6). Fanno eccezione tre indicatori su 29 che invece indicano un peggioramento del benessere al crescere del livello di istruzione (parte destra della Figura 6). Si tratta di indicatori di percezione e soggettivi quali la presenza di elementi di degrado nella zona in cui si vive, la soddisfazione per i servizi di trasporto pubblico e l’insoddisfazione per il paesaggio del luogo di vita. È evidente che si tratta di una mancata corrispondenza con le proprie aspettative che delude soprattutto le persone con titolo di studio più elevato.

Figura 6. Indicatori di benessere per titolo di studio relativi alla popolazione di 25 anni e più. Anno 2023 (rapporto tra popolazione con titolo di studio alto, medio, basso e totale popolazione di 25 anni e più) (a) (b)

Fonte: Istat, Indicatori Bes

(a) Rapporto aggiustato in modo da renderlo simmetrico rispetto al valore 1 e compreso tra 0 e 2.

(b) L'indice tiene conto della polarità degli indicatori e quindi valori maggiori di 1 indicano un vantaggio in termini di benessere.

Per alcuni indicatori soggettivi non si riscontrano significative differenze in base al livello di istruzione posseduto, collocandosi tutti intorno al punto di equilibrio, cioè il valore medio nazionale. Si tratta di indicatori sulla soddisfazione per la situazione ambientale e il tempo libero, sulla fiducia nelle Forze dell’ordine, nei vigili del fuoco e nel Parlamento italiano e sulla salute mentale.
Per i restanti indicatori appaiono più marcati gli squilibri per titolo di studio, con differenze che tendono anche ad essere molto ampie. In generale si contrappongono coloro che posseggono titoli di studio secondari superiori o terziari che denotano una situazione di vantaggio di benessere e, all’opposto, coloro che posseggono titoli di studio bassi; a volte i titoli di studio medi si collocano invece in corrispondenza della linea di equilibrio perché prossimi ai valori medi nazionali.
Tra gli indicatori nella parte centrale della Figura 6, che presentano differenze nette anche se contenute, si trovano la preoccupazione per i cambiamenti climatici e per il deterioramento del paesaggio, la rinuncia a prestazioni sanitarie, la percezione di sicurezza camminando da soli quando è buio, la soddisfazione per la propria vita.
Il 9,9% delle persone con basso titolo di studio rinuncia a una prestazione sanitaria di cui avrebbe avuto bisogno; tra le persone con titolo di studio medio-alto la percentuale è poco più dell’8%. Considerando congiuntamente le differenze territoriali e di genere si nota che nelle regioni del Centro l’indicatore cresce, in particolare tra le donne con istruzione bassa che nel 13,6% dei casi hanno dovuto rinunciare a visite o accertamenti di cui avrebbero avuto bisogno, mentre raggiunge il minimo tra gli uomini con elevata istruzione nel Mezzogiorno che vi rinunciano nel 5,7% dei casi. Nel Nord non si rilevano differenze per titolo di studio, con una quota di rinuncia più contenuta rispetto alla media (8,4% rispetto al 9,1% del totale Italia).

Figura 7. Indicatori di benessere per sesso, ripartizione geografica e titolo di studio relativi alla popolazione di 25 anni e più. Anno 2023 (a)

Fonte: Istat, Indicatori Bes

(a) Per una maggiore fruibilità della Figura collegarsi alla dashboard.

La preoccupazione per i cambiamenti climatici e per l’aumento dell’effetto serra o del buco dell’ozono riguarda in media 7 persone su dieci, ma meno le persone con bassa istruzione (66,3%) rispetto a chi possiede elevata o media istruzione (76,2% e 73,2% rispettivamente). Più preoccupate sono le donne con elevato titolo di studio nel Nord e nel Centro (78%) e meno le persone con bassa istruzione nel Mezzogiorno (63%, a prescindere se uomini o donne).

Nella parte sinistra della Figura 6 il divario tra bassa istruzione da un lato, e alta o media istruzione dall’altro tende via via ad ampliarsi e riguarda indicatori riferiti alle condizioni sul mercato del lavoro ed economiche, alla partecipazione culturale, all’istruzione e alla formazione, ma anche alla salute e alle relazioni sociali.
Il divario più ampio per istruzione, in questa selezione di indicatori, riguarda la formazione continua (11,6% in media) di cui si avvantaggiano le persone con elevato titolo di studio (25,2%), mentre chi possiede basso titolo di studio se ne avvale molto meno (3,2%), nonostante una maggiore esigenza di formazione proprio per queste fasce di popolazione. Le differenze di genere sono, di fatto, ininfluenti, mentre quelle tra ripartizioni sono marcate e segnalano una minore diffusione nel Mezzogiorno (8,7%) rispetto al Nord e Centro (13% circa).

Un altro degli indicatori con maggiori disuguaglianze in base al titolo di studio posseduto è la partecipazione culturale fuori casa, che in media riguarda il 31,7% degli individui ma tra i laureati è più del doppio (64,6%), tra i diplomati è il 36,5% e, infine, tra le persone con al più la licenza media è solo il 12,5%. Inoltre la partecipazione culturale fuori casa svetta al 71,5% tra le laureate al Nord e crolla all’8,7% tra le donne del Mezzogiorno con al più la licenza secondaria inferiore.
L’istruzione è uno dei principali fattori di protezione dalle difficoltà economiche. Nel dominio benessere economico il rischio di povertà riguarda in media il 17,7% degli individui di 25 anni e più, ma per i laureati tale rischio è più che dimezzato (6,9%) mentre per chi è in possesso al più della licenza media si innalza a oltre il 25%. Il disagio economico è poi molto differenziato sul territorio perché al Nord il rischio è inferiore al 10% (3,6% se laureati) e al Mezzogiorno sale al 30,8% (40,7% se con bassa istruzione). Se si considerano anche le differenze di genere si vede come il gruppo più svantaggiato è costituito dalle donne con bassa istruzione residenti al Mezzogiorno, tra le quali il rischio di povertà raggiunge il 42,7%. Analizzando, invece, la fascia di età emerge come, pur in presenza di differenze contenute nel rischio di povertà tra giovani di 25-34 anni (18,6%) e adulti (18,2%) e ultra 55enni (17,1%), un basso titolo di studio penalizzi di più le giovani generazioni rispetto alle altre (rispettivamente 37,8% contro 32,0% e 21,7%). Meno marcate le differenze per età quando il titolo di studio è elevato (8% circa tra anziani e giovani, 5% nella classe centrale). Ne consegue un divario per istruzione più ampio all’interno della classe 25-34 anni. Inoltre, le differenze territoriali si aggiungono a quelle per istruzione, anche considerando le fasce di età, con un rischio di povertà che nel Mezzogiorno è più elevato e tra i giovani adulti con basso titolo di studio sale al 56,7%.

Figura 8. Indicatori di benessere per classe di età, ripartizione geografica e titolo di studio relativi alla popolazione di 25 anni e più. Anno 2023 (a)

Fonte: Istat, Indicatori Bes

(a) Per una maggiore fruibilità della Figura collegarsi alla dashboard.

All’interno del mercato del lavoro il capitale umano ha un ruolo estremamente positivo: il possesso di un titolo di studio più elevato, oltre ad aumentare la partecipazione, si dimostra fattore determinante nell’accrescere le chances di occupazione, soprattutto per le donne, anche nei contesti più disagiati. Il tasso di occupazione dei laureati (84,3%) e diplomati (73,4%) è ben al di sopra del valore medio per l’Italia (69,1%) mentre per chi ha un basso titolo di studio scende al 54,2%. Inoltre, anche nel Mezzogiorno essere laureati (82,5% contro 59% degli uomini con bassa istruzione) ed in particolare laureate (71,8% contro appena il 21,8% delle meno istruite) pone in condizioni di vantaggio rispetto agli esiti occupazionali e riduce la distanza con gli occupati di pari istruzione nelle altre zone del Paese.

Anche su alcuni indicatori di salute l’investimento in capitale umano influisce positivamente. Il tasso di mortalità evitabile è molto variabile per titolo di studio, è pari a 39,6 decessi per 10 mila residenti nella popolazione con un titolo di studio molto basso (licenza elementare o meno), mentre scende a 20,3 nella popolazione con il titolo di studio più alto (laurea o titolo superiore). Tra gli stili di vita, l’indicatore di sedentarietà risulta molto eterogeneo per titolo di studio a vantaggio di chi è più istruito: solo il 17,9% dei laureati è sedentario, seguito dal 29,1% di chi ha titoli medi e supera la metà tra i meno istruiti (55,6%). Spiccato il gradiente territoriale che marca un accentuato svantaggio del Mezzogiorno, in cui, tra l’altro, anche le disparità di genere si cumulano a quelle per titolo di studio e territorio.

Il divario nell’istruzione si traduce anche in un importante digital divide in termini di utenti che regolarmente accedono ad internet i quali, nel caso di bassa istruzione, sono particolarmente svantaggiati, soprattutto se più anziani (tra i 55 e i 74 anni). Largamente diffuso tra i più istruiti (94,4%) e anche tra i diplomati (87,6%), l’uso regolare di internet rimane limitato a poco più della metà delle persone con bassa istruzione (53,3%). Lo svantaggio si annida soprattutto tra le persone con bassa istruzione di 55 anni e più, in particolare se residenti nel Mezzogiorno (33,6%).

Il 25,8% della popolazione di 25 anni e più considera che la propria situazione migliorerà nei successivi 5 anni, la quota sale al 39,8% tra i laureati mentre crolla al 16,3% tra i meno istruiti. Il divario per titolo di studio è leggermente più marcato tra le donne, con una differenza di oltre 25 punti percentuali tra le laureate e le meno istruite, mentre la differenza è di circa 21 punti percentuali tra gli uomini. Questi ultimi raggiungono livelli più alti nella percezione del miglioramento della situazione nel futuro soprattutto al Nord, sia tra i laureati (44,4% rispetto al 39,8% delle laureate), sia tra quanti hanno al più licenza media (21,8% contro 14,1% delle donne con pari istruzione).

L’analisi congiunta dei fattori che definiscono le principali differenze tra gruppi di popolazione mette anche in rilievo il peso relativo che ciascuno dei fattori può assumere. Nel dominio lavoro e conciliazione dei tempi di vita ad es. l’indicatore sulla percentuale di occupati con part time involontario denota non solo un forte svantaggio delle donne, ma anche un importante effetto, tra queste, del titolo di studio. Tra gli uomini invece il fenomeno è, non solo molto più contenuto, ma anche assai poco differenziato per titolo di studio. In sintesi per questo indicatore è forte la differenza per genere, mentre il titolo di studio è di rilievo solo per le donne.

Un altro ambito nel quale il peso delle differenze per titolo di studio è molto rilevante ma solo su uno dei due generi è quello della soddisfazione per le relazioni amicali, nel dominio relazioni sociali. Le differenze di titolo di studio sono particolarmente ampie tra le donne in termini di soddisfazione per le relazioni amicali, con la percentuale di molto soddisfatte che supera il 27,5% nel Nord e nel Centro, mentre tra le meno istruite si attesta rispettivamente al 18,9% e al 15,9%. Un discorso a parte merita il Mezzogiorno, dove i livelli di soddisfazione sono generalmente più bassi, anche a causa della significativa riduzione della soddisfazione delle donne con bassa istruzione, mentre in presenza di alti titoli di studio uomini e donne si equiparano. Tra gli uomini le differenze sono molto più contenute in tutte le ripartizioni geografiche.

Le disuguaglianze per età: focus sui giovani adulti

A partire dagli indicatori selezionati per l’analisi per titolo di studio è stato preso in esame un sottoinsieme di 26 indicatori di benessere per gli individui di 25 anni e più disaggregati per tre grandi classi di età: 25-34 (giovani adulti), 35-54 (adulti) e 55 anni e più (popolazione matura e anziana). Gli indicatori coprono tutti i domini e, per poter essere confrontati e mettere in luce le disuguaglianze per età, è stato calcolato il rapporto tra il valore che ciascun indicatore assume nelle tre classi di età e il valore che assume nel totale della popolazione di 25 anni e più. Ne risulta che gli indicatori che si collocano nella parte superiore del grafico denotano un vantaggio in termini di benessere rispetto al dato medio, all’opposto, quelli nella parte inferiore, uno svantaggio.

Figura 9. Indicatori di benessere per classe di età relativi alla popolazione di 25 anni e più. Anno 2023 (rapporto tra popolazione di 25-34, 35-54, 55 anni e più e totale popolazione di 25 anni e più) (a) (b)

Fonte: Istat, Indicatori Bes

(a) Rapporto aggiustato in modo da renderlo simmetrico rispetto al valore 1 e compreso tra 0 e 2.

(b) L'indice tiene conto della polarità degli indicatori e quindi valori maggiori di 1 indicano un vantaggio in termini di benessere.

La figura mostra un forte gradiente per età per gli indicatori considerati e consente di individuare le misure per le quali si osserva una sostanziale parità tra generazioni (sono 7) trovandosi vicine al valore medio (valore 1 nella figura), definire quelle in cui la condizione dei giovani adulti (25-34 anni) è significativamente migliore (11 indicatori con valori superiori a 1) e quelle per le quali, al contrario, i giovani adulti sperimentano condizioni di benessere peggiori (8 indicatori con valori inferiori a 1). Nel dettaglio i più giovani naturalmente sono più spesso ottimisti sulle prospettive future, il 55% riferisce che la propria situazione migliorerà nei successivi 5 anni (la quota è pari all’11,1% tra le persone di 55 anni e più). La quota di persone che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie di cui avrebbero avuto bisogno cresce all’aumentare dell’età: vi rinuncia il 5,3% dei giovani 25-34enni, contro un valore pari al 9,2% e 10,1% rispettivamente per adulti e ultra 55enni. La fruizione della formazione continua nelle 4 settimane precedenti l’intervista riguarda più i giovani adulti (19,4% rispetto al 7,3% tra i 55+); inoltre la partecipazione culturale caratterizza maggiormente i più giovani, con una quota di persone che hanno fruito di spettacoli culturali fuori casa pari al 44,5%, rispetto al 23,7% dei grandi adulti. Anche la soddisfazione per le relazioni amicali è decisamente più alta tra i giovani adulti, con il 28,4% di essi che si dichiara molto o abbastanza soddisfatto della propria rete di amici (17,7% per gli ultra 55enni). Emerge chiaramente il digital divide che distanzia i giovani adulti dalla popolazione più grande di età nel rapporto con le nuove tecnologie: la quota di utenti regolari di internet raggiunge il 93,9% tra i 25-34enni, mentre rimane pari al 57% tra i più adulti. Sul fronte degli stili di vita i giovani adulti sono più attivi, con una quota più contenuta di sedentarietà (26,8%), che sale, invece, al 45,8% tra le persone di 55 anni e più.
All’opposto, sul lato sinistro della Figura 19 si riscontrano indicatori che, invece, indicano lo svantaggio delle giovani generazioni rispetto alle altre. Tra gli stili di vita un fattore di rischio che emerge con chiarezza è l’abitudine al fumo che riguarda il 26,9% dei giovani, un dato abbastanza prossimo anche nella popolazione adulta (24,2%), contro il 14,4% negli ultra 55enni.
Per i giovani il luogo in cui si vive presenta criticità e questo genera più spesso motivo di insoddisfazione. L’insoddisfazione per il paesaggio del luogo di vita sale al 23,4% tra i 25-34enni contro meno di una persona su 4 di 55 anni e più.
Inoltre i giovani, che più spesso sono utenti regolari dei mezzi pubblici (sul lato destro della figura), si dichiarano anche meno soddisfatti dei servizi di trasporto pubblico: il 21,4% valuta positivamente la propria esperienza di tali servizi, con un voto uguale o superiore a 8 su 10, contro il 27,3% degli individui di 55 anni e più.