Caratteristiche e limiti dei dati
I dati utilizzati possono considerarsi relativamente affidabili fino dall'Unità solo per gli scambi commerciali. Fino al 1945, invece, le fonti sono molto lacunose per le altre voci della Bilancia dei pagamenti: l'interscambio di servizi e la sua composizione, le rimesse e gli altri redditi, i movimenti di capitale.
Inoltre, accanto alle regole contabili per la compilazione della Bilancia dei pagamenti, anche la nozione di Prodotto interno lordo (Pil) e l'insieme dei Conti nazionali - in breve l'ossatura macroeconomica del lavoro - sono stati concettualizzati solo nel Secondo dopoguerra: la prima edizione del Manuale della Bilancia dei Pagamenti (BPM) del Fondo Monetario Internazionale è del 1948, quella del Sistema di Conti Nazionali (SNA) proposto dalle Nazioni Unite del 1953. Nel tempo, entrambi sono andati incontro a cambiamenti metodologici e definitori importanti che riflettono l'evoluzione dei sistemi economici e i miglioramenti statistici. A livello concettuale, la coerenza tra le grandezze Sistema dei Conti Nazionali e i criteri di redazione della Bilancia dei Pagamenti è stata raggiunta solo nel 1993 (SNA 1993 - BPM v5), e rafforzata nell'ultima revisione del 2008.
Il Pil e le grandezze che lo compongono sono quindi frutto di un lavoro di ricostruzione portato a termine dalla Banca d’Italia e dall’Istat nel corso degli anni Duemila, raccogliendo l'eredità di ricostruzioni precedenti integrate con fonti aggiuntive, e ricongiungendo il periodo pre-1970 con le serie già pubblicate dall'Istat secondo il Sistema europeo dei conti (SEC) 1995. La ricostruzione ha riguardato anche la definizione delle grandezze ai confini attuali, qui utilizzata in tutte le serie generali sull’andamento di commercio e Pil per il periodo pre-bellico.
Dal punto di vista metodologico, la ricostruzione dei Conti nazionali ha dovuto affrontare il problema del riporto dei valori a prezzi correnti (dell'anno in cui avvengono le transazioni) ai prezzi di un anno base (c.d. dati "in volume") per le serie delle singole voci considerate. Infatti, depurare i valori dagli effetti delle variazioni di prezzo è una trasformazione necessaria per poter comparare le grandezze nel tempo: ad esempio, quando si parla di andamento del Pil in generale si fa riferimento alla sua crescita reale, in volume e non a prezzi correnti o monetaria.
Il coefficiente di trasformazione con i valori correnti è chiamato deflatore. Congiuntamente e in connessione con il deflatore del Pil vengono computati deflatori specifici per i consumi, gli investimenti, le esportazioni e le importazioni, per tenere conto delle differenze nell'andamento dei prezzi delle diverse componenti della spesa (domanda) che sommate costituiscono il Pil.
Un limite intrinseco nell'esercizio di deflazione origina dal fatto che i cambiamenti di composizione e nelle ragioni di scambio dei beni e servizi compresi nel Pil (e nelle sue componenti) possono essere molto rilevanti, in particolare con l'allungarsi del periodo considerato. Infatti, molti beni e servizi scompaiono o perdono di importanza, sostituiti da altri; inoltre, gli andamenti dei prezzi relativi dei singoli prodotti possono differire notevolmente, rendendo molto diversi anche gli andamenti complessivi a seconda del paniere di beni e servizi considerato, nonostante i ribasamenti periodici degli indici (nella ricostruzione si utilizzano gli anni base 1911, 1938, 1963 e 2010, qui raccordati riportando i valori ai prezzi del 2015, mentre dal 1995 si sono utilizzate le stime Istat più recenti in regime di concatenamento).
Nel nostro caso, in cui il periodo considerato è estremamente lungo, si pone inoltre il problema di una progressiva divaricazione tra i deflatori specifici del commercio con l'estero e quello del Pil. Infatti, per effetto del progresso tecnico nel tempo i prezzi dei beni (in particolare dei prodotti industriali) sono cresciuti meno rispetto a quelli dei servizi. Poiché negli scambi internazionali sono prevalenti i beni, mentre nel Pil prevalgono (oggi di gran lunga) i servizi, anche i deflatori sono cresciuti a ritmi diversi. In pratica, l'applicazione dei deflatori specifici dell'export e dell'import restituisce (salvo eccezioni) una dinamica in volume dei flussi commerciali più accentuata rispetto all'evoluzione effettiva del loro ruolo rispetto al Pil. Questa, esprimibile con la quota del commercio estero sul Pil a prezzi correnti, è coerente con la dinamica dei volumi utilizzando il deflatore del Pil anche per il commercio estero.
Per riconciliare questi aspetti, nel documento si è scelto di mostrare sempre l'evoluzione in volume degli scambi commerciali ottenuta con l'impiego del deflatore del Pil accanto a quella corrispondente con i deflatori specifici computati nella ricostruzione dei Conti nazionali. La prima serie restituisce andamenti meno pronunciati, ma consistenti col ruolo del commercio estero nell'economia - come risorse spendibili in quel momento, dati i rapporti di scambio vigenti tra i prodotti - mentre la seconda è più vicina all'evoluzione in quantità (volume) dei flussi commerciali e della produzione sottostante.
Un'ultima avvertenza, non meno importante, riguarda le differenze tra i dati delle statistiche sul Commercio con l'estero (COE, qui utilizzate nei confronti tra Paesi o per rappresentare le dinamiche settoriali) e le stime di Contabilità nazionale (CN) che, pure, su questi si basano. In particolare, le prime rilevano il passaggio di un bene per la dogana, le seconde il passaggio di proprietà, che non necessariamente coincide con un movimento fisico. Inoltre, mentre i valori COE sono computati al prezzo alla frontiera (FOB - free on board) per le esportazioni ma includono le spese per assicurazioni e trasporto (CIF - comprehensive of insurance and freight) per le importazioni, i valori di CN sono entrambi FOB.